I Termini Musicali più frequenti

Written by Zeferino Siani. Posted in Artisti, cantanti/autori, poeti, ecc.

Articolo incompleto

La scelta dei termini musicali è personale, ed è fatta riportando la definizione di quelli da me riportati negli articoli sulla musica in questo sito.
Iniziamo.

Ritmo Musicale

Il ritmo musicale è il moto ordinato dei suoni, cioè quello che si svolge sulla base di determinate unità di tempo aventi i seguenti requisiti: uguaglianza di durata (isocronismo); suscettibilità a dividersi esattamente in elementi di minore valore o a sommarsi in altri di maggiore; possibilità di differenziarsi fra di loro per un'accentuazione diversa (accento debole, accento forte).

Le unità di tempo sulle quali è basato il ritmo sono quelle con cui l'uomo, obbedendo a una sua naturale esigenza spirituale di simmetria, divide il tempo in tante parti esattamente eguali, e sulle quali egli costruisce il suo pensiero melodico-armonico.

L'unità di tempo, che nell'esempio precedente è rappresentata da una semiminima, può essere espressa graficamente in molti altri modi a seconda che la caratteristica di unità di tempo venga attribuita a uno piuttosto che a un altro dei valori musicali. Il valore però più frequentemente impiegato è la semiminima.

(questi valori, pur essendo equivalenti come unità di tempo, sono però tutti graficamente diversi).

Le unità di tempo (dette comunemente "tempi") hanno una velocità costante nel loro succedersi (astrazione fatta dai "rallentando" e dagli "accelerando" di carattere agogico), ma che è inizialmente molto varia, oscillando da un minimo di circa 40 a un massimo di circa 150 al minuto secondo e corrispondendo così all'ampia scala delle più diverse espressioni musicali, dalle più calme alle più agitate.

Le sole unità di tempo non sono tuttavia sufficienti per l'estrinsecazione dell'idea musicale e porterebbero inoltre a un'inevitabile monotonia ritmica. Per ottemperare a questa necessità di variare il ritmo, le unità di tempo vengono spesso suddivise in valori temporali minori oppure sommate fra loro per costituire unità di maggior valore. Esse vengono spesso sostituite da pause le quali conservano lo stesso valore ritmico dei suoni assenti.

Quando la velocità delle unità di tempo supera i 150 circa al minuto secondo, esse perdono il loro carattere di movimento-base del ritmo e vengono invece interpretate dall'orecchio quali valori divisionali secondo lo schema dell'esempio precedente.

È stato dunque detto che le unità di tempo debbono essere isocrone e suscettibili di suddivisione. Occorre ora che queste unità si differenziano fra loro per una diversa accentuazione, un diverso peso ritmico, senza di che esse non sarebbero che un'uniforme e incolore successione di suoni. Il movimento pendolare di un orologio o di un metronomo può dare un'idea esatta della continuità di una serie di suoni isocroni e senza alcuna accentuazione, i quali, considerati ognuno come a sé stante e di uguale importanza, sarebbero insufficienti a costituire un ritmo nel senso musicale della parola. Ma non appena l'ascoltatore divide mentalmente i movimenti del pendolo in gruppi di due o di tre, immediatamente egli realizza nel suo spirito delle formazioni ritmiche che dànno vita e colore a quella successione di suoni prima uniformi. Dividere in gruppi di due o di tre significa dare un accento ad alcuni movimenti a preferenza di altri, creare una gerarchia in virtù della quale alcuni debbono essere considerati movimenti forti (più accentuati) e altri movimenti deboli (meno accentuati). I termini debole e forte non hanno qui nulla a che vedere con la minore o maggiore intensità del suono che s'identifica con quel determinato movimento. Qui si tratta invece di una minore o maggiore importanza ritmica, la quale casualmente, ma non necessariamente, può coincidere con l'intensità sonora.

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