Incontrarsi al Bryant Park
SCRITTO DA ZEFERINO SIANI. PUBBLICATO IN FAVOLE E RACCONTI
Margareth
A lenti passi, si avvicinò all’ampia vetrata del suo ufficio, al 30° – ed anche ultimo – piano dell’ HSBC Tower, 452 Fifth Avenue, New York: durante la notte il vento aveva spazzato il cielo da tutte le nuvole, e la vista era magnifica, ma parziale. Allora, come aveva fatto altre volte, prese dalla scrivania una chiave, chiuse dietro di sé la porta dell’ufficio, fece di corsa le due rampe di scala e poi – due giri nella serratura ed una spinta – uscì sul terrazzo!
Margareth era orgogliosa del suo lavoro e della posizione raggiunta. E le persone che la conoscevano erano favorevolmente concordi nel ritenerla una brava consulente finanziaria, con in più una qualità difficilmente definibile con esattezza, e che i suoi clienti più perspicaci identificavano in una specie di meravigliosa certezza che ciò che si andava decidendo in merito o alla diversificazione dei titoli di un portafoglio o ad un geniale pick-up avrebbe avuto un sicuro successo.
Il Bryant Park! … Sempre ben curato e pulito, con tutte quelle sedie e tavolini sotto le piante disposte attorno al rettangolo di prato verde, dove lei andava per leggere, o consumare un fast food, o altre volte semplicemente per starsene sdraiata a prendere il sole con i piedi scalzi sull’erba.
E poi ancora, d’ inverno, tutto novembre e dicembre, quella pista di ghiaccio, il Winter Village, e quei negozi con le vetrate gialle, verdi, multicolore, dove poter comprare di tutto, di utile e di inutile, una bibita, un caffè, una merenda, o un simpatico souvenir. O anche andare a prendere il libro preferito dall’attigua New York Public Library, per poi leggerselo standosene seduti su una delle tante sedie disponibili, ad esempio o accanto alla statua di William C. Bryant!, poeta e giornalista, o accanto alla fontana circolare, o in uno dei vialetti ombrosi attorno al parco, oppure in piena luce nel parco.
Ora nulla si frapponeva al suo sguardo e, appagata, poteva guardare fino all’ Hudson a sinistra, all’ East River a destra e, dietro di sé, a tutto il Central Park a nord, … e oltre, ed ancora oltre! Poi, come sempre, il suo sguardo retrocedeva lentamente, ripercorrendo a ritroso la visione precedente, fino ad appuntarsi sul Bryant Park proprio sotto di lei: newyorkese da generazioni, amava la sua città, ed in particolare amava quel prato che oggi splendeva come la faccia ben levigata di uno smisurato smeraldo.
Ci stava bene al Bryant Park. Lì si sentiva bene, proprio bene! E così doveva essere per le tante persone, newyorkesi o turisti, che abitualmente stavano lì senza punto disturbare – e questo era per lei sempre fonte di meraviglia! – la pace di quell’oasi nel frenetico pulsare della metropoli. Ed allora sorrise, mentre un pensiero le attraversava la mente: anche quel giorno avrebbe pranzato al Grill, all’ interno del Bryant Park, dove aveva appuntamento con Jeff.
Guardò l’orologio! Doveva rientrare in ufficio, per esaminare la situazione generale dei certificates, che erano i titoli che maggiormente prediligeva e suggeriva alla sua clientela. Poi l’appuntamento…, e quindi doveva sbrigarsi! Perciò, lasciò il terrazzo, scese le due rampe di scale, rientrò in ufficio, e dispose sull’ampia scrivania varie cartelle.
I Certificates! Duttili e complessi, li consigliava spesso, aggiustando così situazioni precarie, rafforzando punti deboli e, in generale, conferendo più dinamismo e prospettive al relativo quadro finanziario di ciascun cliente.
La scelta di un “certifiche…eets” – come lei simpaticamente pronunciava la parola, prima strascicando volutamente la “e”, e poi troncandola di colpo con quel “ts” finale – avveniva da tempo seguendo uno schema personale che teneva sostanzialmente conto
dell’andamento del mercato finanziario, delle caratteristiche del miglior sottostante e dei probabili rendimenti attesi, e sopratutto dello specifico profilo di rischio del cliente.
Guardò di nuovo l’ orologio: le 13:20 … in tempo per il Bryant Park Grill!
Dopo pochi minuti, sulla W 40 Sth, leggera come una gazzella, capelli lisci spioventi e tagliati corti, figura snella, busto leggermente proteso in avanti e gli occhi azzurro verdi fissi davanti a se, Margareth, anni 35, camminava a piccoli passi veloci: non furono poche le persone che, incrociandola, si voltarono a guardarla.
Jeff
Jeff guardò il suo orologio da polso, le 13:10. Abitava nella W 54th St, e prima aveva il proprio conto presso la HSBC Bank al 666 5th Ave, a quattro passi da casa sua. Anche Margareth prima lavorava in questa filiale, e così si conobbero. E però, quando Margareth fu trasferita d’ufficio all’ HSBC Bank, 452 Fifth Avenue, nei pressi del Bryant Park, allora anche Jeff, per non perdere la sua consulenza, fece trasferire lì il suo conto. Pertanto, continuarono ad incontrarsi.
Jeff era quindi in pensione già da alcuni anni quando conobbe Margareth alla HSBC Bank, 666 5th Ave, la filiale vicino casa sua e dove – come detto – aveva il suo conto.
“Posso essere la sua consulente, se è d’ accordo.”
Questa fu la prima frase che Margareth gli aveva rivolto. Ed inaspettatamente aveva aggiunto: “Guardi che io sono molto intelligente, e potrei farle fruttare il suo conto!”
E Jeff aveva detto si, e ripetuto si, e poi ancora si, conquistato da quella dichiarazione un poco buffa, ma così simpaticamente disinibita e originale.
Occorrevano circa venti minuti a piedi per raggiungere Margareth al Bryant alle 13:30, e quindi, se voleva essere puntuale all’ appuntamento, doveva decidere subito. Ci furono attimi di palese e nervosa esitazione. Poi Jeff prese a camminare: con passo deciso svoltò nella 5th Ave, tra il Museo d’Arte moderna ed il Microsoft Store, e scese giù diritto per il Bryant.
Jeff mostrava dai 65 a max 70 anni, statura medio alta, magro, spalle larghe, capelli bianchi ma folti. Camminava assorto nei suoi pensieri … uno di quei tanti che portano addosso stampata la loro solitudine.
E ripercorrendo quel consueto cammino, nella sua mente riaffioravano i ricordi. Ad esempio, quando egli da giovane, per la maledetta voglia di guadagnare di più, aveva scelto un indirizzo scientifico; ciò aveva dato i suoi frutti: subito dopo la laurea, assunzione da parte di una grande Società, alcuni mesi dopo il matrimonio, il primo figlio, la creazione di due piccole società, tutta una corsa anche eccitante e piacevole. Ma alla fine, specie subito dopo il pensionamento, era maturata dentro di sé la consapevolezza che avrebbe fatto meglio a scegliere un indirizzo umanistico. Infatti, stava bene e si sentiva realmente appagato quando leggeva un buon libro, o vedeva al cinema un buon film, o anche quando faceva qualche breve viaggetto alla scoperta di un qualche posto dove magari non andava nessuno, ma che catturava il suo interesse.
Ora Jeff, continuando a camminare, era giunto nei pressi della gotica St. Patrick’s Cathedral. Riemergendo dai suoi pensieri, osservò ancora una volta quelle porte di bronzo all’ ingresso, e le guglie svettanti che sfidavano gli imponenti grattacieli tutto intorno, … e poi dentro la chiesa, lo ricordava bene!, le bianche marmoree navate, silenziose, e in alto le arcate e i vetri colorati, e quel grande organo a canne sotto il rosone, nella zona estrema della navata centrale. Ora camminava più svelto; dopo venti – trenta passi al suo sguardo all’antica struttura si sostituiva già la vista del lussuoso Saks, elegante e mondano: uno dei tanti contrasti della Big Apple, che riuscivano sempre a sorprenderlo.
Superata la libreria Barnes & Noble, calcolò che aveva camminato per oltre la metà del percorso.
Giunto infine all’ incrocio con Mac Donalds, svoltò a destra, e prese a camminare sulla W 42nd St. Entrò nel parco all’altezza dei bagni, percorse il lato interno nord della N.Y. Public Library, svoltò a sinistra e dopo pochi passi varcava la soglia della porta d’ ingresso del Bryant Park Grill. Diede subito uno sguardo veloce ai tavoli rotondi, che erano per la maggior parte per quattro persone, e poi concentrò la sua attenzione sulla lunga fila di tavoli per due persone posta sul lato della vetrata che affaccia sul parco …
Seguì con lo sguardo quella fila, e la vide proprio all’ultimo tavolo, nell’angolo! Contemporaneamente anche Margareth lo vide, ed agitò una mano.
Il colloquio
“Ciao”, disse Margareth, stendendo in avanti la mano destra aperta.
“Ciao”, rispose Jeff, e strinse lievemente quella mano.
Margareth era seduta volgendo le spalle alla grande vetrata del Bryant Park Grill prospiciente il prato, e la luce filtrava attraverso i suoi capelli mettendone in risalto il viso. Jeff la guardò: non l’ aveva mai vista così bella!
“Siediti”, disse Margareth.
Jeff prese posto lentamente di fronte a lei, non cessando di guardarla in silenzio.
“Che cosa prendi?”, gli chiese disinvoltamente Margareth, cercando al tempo stesso di reagire all’intensità di quello sguardo.
“Niente, grazie”, rispose Jeff.
“Almeno un gelato! Qui lo fanno veramente buono”, insisté Margareth.
“Allora va bene il gelato.”
Seguì una pausa di silenzio, che nessuno dei due mostrò di voler interrompere. Poi Margareth fece cenno ad un cameriere che in quel momento passava accanto al loro tavolo. Dopo l’ordinazione, Margareth sciolse per prima quel silenzio, chiedendogli:
“Allora, cosa volevi dirmi?”
Jeff sembrò esitare, come se non riuscisse a trovare le parole giuste per iniziare. Poi, disse con decisione:
“Desidero parlarti di una cosa. Per la verità, questa cosa volevo dirtela già da tempo, senza però mai riuscirci, anche perché nel tuo ufficio, quando io inizio a parlare non sono mai sicuro di poter finire, o perché squilla il telefono, o perché entra un collega, o altro…”
“Hai ragione. Ora capisco anche il perché di questo appuntamento. Bene; ora però posso ascoltarti”, replicò Margareth.
Jeff si agitò un poco sulla sedia, come se ora non riuscisse più a trovare la maniera giusta per parlare. Poi, però, con un gesto risoluto, si erse con il busto, e si sporse leggermente in avanti verso lei. Ora il suo tono era deciso, calmo, risoluto.
“Margareth, – disse – ci conosciamo da vari anni, durante i quali ci siamo incontrati nel tuo ufficio, tu come mia consulente finanziaria ed io come tuo cliente, per discutere ovviamente di titoli, di occasioni, di guadagni, di perdite, di acquistare, di vendere, tutte belle cose, ma piuttosto aride, e penso che proprio per contrastare quest’aridità, soprattutto grazie alla tua sensibilità ed intelligenza, abbiamo parlato talvolta anche un poco di noi, dei nostri fatti e sentimenti umani, ovviamente nei limiti di una reciproca privacy. Poi io ho preso l’abitudine di condividere con te fatti e tendenze del mercato finanziario, inviandoti tramite @mail, dei report su news e dati di carattere finanziario, quelli che io a volte definivo anche con il termine ‘aggiornamenti’ nell’oggetto della email”.
“Certo che no! Scusami se non vado subito al fatto, ma il contrario potrebbe essere per me talmente distruttivo che rimpiangerei amaramente di aver preso con te questo appuntamento e di aver parlato del mio problema: a che servirebbe il parlare, se non chiarisce e non risolve quel problema, o se – peggio ancora! – lo accrescesse penosamente?”
A questo punto, Jeff s’ interruppe, e stette un poco in silenzio, che Margareth a sua volta interruppe esclamando: “Si, è così! Ma non è certo questo che volevi dirmi!”.
Margareth non disse nulla, e aspettò che Jeff concludesse.
Seguì una lunga pausa, durante la quale fu evidente lo sforzo di concentrazione di Jeff per fare chiarezza con le parole giuste.
Poi, con leggera esitazione, continuò: “Ti dico dunque per la prima volta quello che tu già sai, e che cioè mi sei piaciuta fin dall’ inizio. Ma, considerati i molti anni che ho più di te, non ho mai pensato di prendere alcuna iniziativa per un concreto approccio. I comuni limiti e le regole del vivere normale sono chiari anche per me.”
… ancora una pausa, la più importante, perché creava spazio per la domanda che Jeff, scommettendo sulla intelligenza e sensibilità di Margareth, aspettava arrivasse, proprio come chi, avendo visto nel cielo in tempesta il saettare di un lampo, ne attende il tuono.
E Margareth riempì quella pausa esclamando: “Ma, allora, non capisco: cosa vuoi da me?”
“Essere semplicemente amici”, rispose Jeff, “ecco quello che voglio!”
“Ma noi due siamo già amici …!”, replicò prontamente Margareth.
“No, ti sbagli. I veri amici si frequentano.”
“Ma questo è impossibile!”, replicò Margareth. “Abbiamo entrambi i nostri binari”.
“I binari! Quali binari? Noi non siamo treni. Non abbiamo binari, ma sentimenti, ideali, aspirazioni, passioni. E poi, anche i treni a volte deragliano, e allora perché non possiamo deragliare anche noi, se il deragliare ci fa conquistare un poco di felicità e serenità in questo mondo dove si parla di soldi, ancora di soldi, e poi ancora e dannatamente sempre di soldi!”
Un commensale nella sala si voltò verso di loro, e Jeff si rese conto di essersi un poco lasciato andare. Quando il commensale distolse lo sguardo, aggiunse lentamente, con voce sommessa: “Una volta ho letto che un uomo ed una donna, che vivono in posti diversi, si vedono una volta all’anno, da tanti anni, e la cosa continua tranquillamente e felicemente”.
Detto ciò, Jeff tacque. Non voleva né sapeva aggiungere altro.
Margareth rimase a lungo pensierosa, poi risolutamente disse:
“No, la cosa non può andare. Si comincia con essere solo amici, poi si vuole qualcosa di più, e tu puoi assicurarmi ora di potermi dare quel qualcosa in più anche un domani più o meno prossimo? Ed anche se si, fino a quando?”
“Questo non posso dirtelo ora. Potresti dirmelo tu … dopo!”, rispose Jeff, con una certa malizia. Ma quest’aspetto è secondario.”
“No, non chiamarlo secondario. Non te ne accorgi, ma stai ingannando te stesso.”
Ed aggiunse, assumendo un tono di serietà e sicurezza: “Stai pur certo che ciò che chiami ora secondario diverrà prepotentemente primario dopo pochissimo tempo, e in tal modo inesorabilmente entreremmo in una spirale che potrebbe distruggere entrambi. Perciò, ti chiedo di fare questo piccolo sforzo oggi, anziché uno più grande domani”.
“Proprio non capisco. Dovrei fare uno sforzo finalizzato a cosa? Uno sforzo per essere infelice? In fondo, ti chiedo di essere solo amici, vedendoci qualche volta, e facendoci solo compagnia. Mi basterà!”
Margareth non rispose, perché non sapeva cosa rispondere.
“Quando posso rivederti?”, chiese Jeff.
Sul viso di Margareth apparvero i segni di un evidente contrasto interiore, quando a voce bassa ma intellegibile, gli rispose dicendo: “Come intendi tu oggi: mai! Come prima, all’ufficio, compatibilmente con gli impegni di lavoro: si, quando vuoi”.
Jeff si rese conto che non c’era altro da aggiungere, e allora si alzò stancamente dalla sedia, stendendole la mano.
Quando Margareth gliela prese, e leggermente la strinse, sentì una profonda emozione, perché capì quanto Jeff le voleva bene.
E, d’altra parte, anche la sua stretta di mano dovette comunicare qualcosa di benefico a Jeff, perché per un attimo il suo viso si schiarì un poco, per un calo della tensione che gli si era accumulata dentro.
Subito dopo Jeff si avviò verso l’uscita. Quando Margareth lo vide scomparire, un leggero tremito s’ impadronì della sua persona.
Al Sapphyre.
Jeff uscì dal Bryant Park e camminò fino allo incrocio tra la E 42nd St e la 3d Ave. Poi si fermò. Si sentiva come svuotato dentro, e restò per circa un minuto indeciso se tornare a casa a piedi o con il metro. Poi decise: camminare gli avrebbe fatto bene, e gli avrebbe consentito di riflettere con più calma.
Dopo circa 30 minuti, giunse in prossimità dell’incrocio della 3d Ave con 60nd St, vicino casa sua. Pensò che non era una buona idea rientrare subito: oltretutto era anche affamato. Meglio il Sapphyre, Prime 333, lì vicino…si sarebbe anche distratto!
Alla reception immediatamente un addetto si offrì di accompagnarlo, e così Jeff fu introdotto in una spaziosa sala rettangolare.
Dappertutto, luce diffusa, rossastra, che creava penombre. Sul lato sinistro, un bar con sgabelli alti, un grande specchio rettangolare con vari ripiani, su cui stavano bottiglie di vini Franciacorta, Blanc Blanc, Brunello di Montalcino, e altri; di champagne Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, e altri; di acquaviti e liquori Cognac, Armagnac, Calvados, Pineau, Grand Marnier, e altri; e wisky, Beringer, Francis Coppola, e altri. Al Sapphyre gli alcolici scorrono a fiumi!
Al centro troneggiava una piattaforma con la sbarra verticale di acciaio, lucidissima, per l’esibizione delle ballerine. Tutt’attorno erano sistemati tavolini piccoli, con ripiano tondo circondati ciascuno da quattro comode poltrone in pelle marrone, con schienale alto e avvolgente, due da parte opposta a ciascun tavolino e due affiancate.
Jeff prese posto ad un tavolino a pochi passi dalla piattaforma, in una delle due poltrone laterali al tavolino ancora libere, mentre le altre due erano occupate da una coppia sui quaranta, di aspetto discreto e un poco riservato. Ordinò una bistecca e come vino scelse un Cabernet Sauvignon.
Alla sbarra era un continuo avvicendarsi di ballerine dalle misure del corpo perfette, che si esibivano in eccellenti acrobazie, singolarmente o anche in coppia, mostrando le notevoli parti del loro corpo sotto tutte le angolazioni possibili.
“Perfetto, tutto perfetto, ma alla lunga anche stancante! Sarebbe ora di andar via!”, pensò Jeff, che ormai aveva consumato la bistecca.
Stava per alzarsi dalla poltrona, quando notò che l’attenzione di alcuni vicini di tavolo era ora rivolta verso una signora snella e leggera che a passi lenti si dirigeva proprio verso la poltrona libera accanto.
Con semplicità, la signora snella e leggera salutò Jeff e la coppia accanto, e poi prese posto con pochi movimenti flessuosi ma naturali.
“Spettacolo noioso, vero?”, disse senza preamboli a Jeff, che rimase stordito da questa semplice ma sorprendente osservazione.
“Come ha fatto a capirlo?”, rispose Jeff, esterrefatto da tanta prontezza e semplicità.
“Osservando! Quando sono entrata nella sala, mi sono fermata per alcuni minuti per osservare il viso di ciascuno dei clienti presenti in sala. Alla fine, mi sono soffermata sul suo perché ho percepito – – per la verità, in misura incerta e minima – che io e lei potevamo avere qualche problema in comune.
“Di che tipo?”, chiese Jeff, fortemente incuriosito.
“Beh, non pretenderà mica che io possa parlargliene restando in questa sala!”
“Certo. Ha ragione. Ma mi pare che nel Sapphyre sono disponibili degli spazi riservati, in cui poter tranquillamente conversare. Possiamo chiedere al personale del locale!”
“D’ accordo”, replicò la seducente signora elegante.
Dopo cinque minuti, Jeff e la seducente signora elegante stavano comodamente seduti su un ampio divano in una di quella serie di stanzette che affacciavano su di un lungo corridoio, silenzioso ed in penombra, con felpati tappeti.
La signora seducente ed elegante raccontò di essere entrata nello ufficio del marito senza essere annunciata dalla segretaria, che era in malattia, e di averlo sorpreso in intimità con una donna: un classico!
A sua volta, Jeff iniziò a descrivere il suo problema alla seducente signora elegante, ma dopo pochi istanti, estendendo la descrizione a stati d’ animo e non a fatti, cominciò ad annaspare tra frasi incerte ed imprecise. E fu così che, allo ennesimo tentativo, la seducente signora accostò un dito alle labbra di Jeff: un attimo dopo era su di lui a cavalcioni, fissandolo negli occhi. Seguì un rapporto sessuale intenso, che aveva radici in tensioni accumulate e non risolte.
Mentre si aggiustava per uscire ed andar via, Jeff le chiese se potevano rivedersi.
“No”, rispose decisamente. “Nascerebbero altri problemi!”, e poco dopo scomparve alla sua vista.
Quando Jeff tornò a casa, andò dritto nella sua camera da letto: poco dopo sprofondava in un sonno profondo.
Al Battery Park.
Durante la notte, di nuovo – per la seconda notte consecutiva! – un vento settentrionale forte e continuo, una vera manna per tutti i newyorkesi, aveva spazzato tutta la coltre di gas accumulatasi durante la giornata sulla metropoli e sulle sue più lontane propaggini, ed alle 9 del mattino un sole splendido troneggiava in un azzurro cielo inondando di luce l’isola di Manhattan: a Jeff – alla finestra del 50° piano del suo appartamento – sembrò il primo giorno della creazione!
Quello spettacolo ebbe il potere di risvegliare in Jeff antichi ricordi, che a loro volta si tramutarono in un desiderio irresistibile: fare un salto al suo parco preferito, il Battery Park!
Dopo meno di mezz’ ora Jeff usciva dal garage alla guida della sua auto. Diede subito un’occhiata al navigator, che in quel momento gli consigliava la NY-9AS. Percorse quindi la West 54th Street fino all’ incrocio, e poi svoltò a sinistra: con soddisfazione pensò che la NY-9AS, che, costeggia l’Hudson, era più ariosa ed aperta!
Quando giunse all’ altezza di Burberry al World Trade Center, due pensieri attraversarono quasi simultaneamente la mente di Jeff: l’ attentato alle Torri Gemelle; mancava poco per Battery Park! Ed infatti, dopo poco parcheggiava l’ auto allo State Pearl garage.
Entrato nel parco, Jeff prese a camminare sulla Battery Promenade, con vista sul mare e Statua della Libertà in lontananza. Amava ancora passeggiare tra i lampioni e le panchine disseminate un po’ ovunque, come spesso aveva fatto assieme a sua moglie Mary e ai figli Tom e Amanda ancora piccoli. Tom era ormai sposato già da alcuni anni, ma Jeff lo ricordava quando da piccolo, alla vista della fontana circolare con tanti getti d’ acqua provenienti dal fondo, non ci pensava due volte a svestirsi rapidamente restando solo in slip e facendosi investire ridendo dagli zampilli d’ acqua. Amanda invece preferiva starne fuori, sfuggendo divertita agli spruzzi d’ acqua che Tom orientava abilmente verso di lei con colpi laterali delle mani.
Al Battery Park aveva incontrato la prima volta sua moglie.
Mary era proprio bella, a sedici anni! Occhi verdi azzurri, grandi, luminosi. Bocca larga, sensuale. Vita sottile, bei fianchi. Capelli neri, lunghi, un poco ricci, secondo la moda di quegli anni. Atteggiamento ribelle, di chi non accetta regole. In definitiva, Mary era decisamente interessante.
Jeff l’aveva corteggiata a lungo, ma lei sfuggiva sempre. Sfuggiva, ma non rifiutava quella corte. Jeff lo sentiva, ma più incalzava, e più lei si chiudeva a riccio: sembrava diventare sempre più inespugnabile. Anni di corteggiamento. Poi per Jeff le cose cambiarono in meglio a seguito di un episodio, apparentemente insignificante … Una sera, Jeff e Mary si trovarono assieme ad una festa da ballo fra amici. Avvenne che Mary ballava con tutti, ma rifiutava i ripetuti inviti di Jeff a ballare. Fino a quando ad un ennesimo invito Mary accettò di ballare, probabilmente persuasa da qualche comune amico che le aveva fatto notare che così non stava bene, che era civilmente scorretto, e roba del genere. E però, mentre stavano ballando, e l’ orchestra eseguiva “The Pretender”, forse Jeff la strinse a se un poco più del politicamente corretto: a sua volta Mary, che faticava un poco a resistere a quella corte serrata che durava da molto, sentì ancora una volta però in cuor suo la voglia di non dargliela vinta, di affermare ancora la sua libertà, la sua indipendenza sentimentale, di cui andava fiera. Mary fece allora l’ atto di piantarlo in asso nel bel mezzo della sala. Ma Jeff non le diede questa possibilità: fulmineamente, le tolse una scarpa dal piede, gliela mise sotto il naso, e con tono deciso e fermo le disse: “Se ti permetti, ti do questa scarpa sulla testa!” Fatto sta che, a questo punto, Mary guardò la scarpa, poi guardò il viso di Jeff, e lesse in quel viso anche quello che c’ era di non detto. E allora, simulando un gesto di finta stizza, si avvicinò a Jeff, mostrando sì di voler continuare a ballare, ma con una espressione sul viso di forzata rassegnazione. E Jeff pensò che finalmente era fatta: la rosa era stata colta!
C’ erano molti ricordi legati al Battery Park! Mary non lasciava mai il Parco se prima non dava un saluto simbolico ai tre marinai della scultura in bronzo dell’American Merchant Mariner. E Jeff ricordava bene, anche a distanza di tempo, in tutti i dettagli, l’espressione che il viso di Margareth assumeva quando ne osservava la scena: tre marinai, terrorizzati perché bloccati su una nave mercantile che affonda, mentre chiedono aiuto e cercano di raggiungere la mano disperata di uno dei loro compagni che si dibatte nell’acqua sottostante; una lapide, poi, riporta questa breve crudele annotazione: “Lasciati ai pericoli del mare, i sopravvissuti in seguito perirono”.
Jeff poi era un sognatore distrattissimo, capace di dimenticare un compleanno di Mary; e però si faceva perdonare , per compensazione, perché capace anche di piccoli imprevedibili gesti, come quel giorno che le regalò un meraviglioso foulard di seta, stampato con meravigliosi geniali disegni policromatici e acquistato da Saks Fifth Avenue, e che Jeff consegnò nelle mani di Mary assieme ad un biglietto su cui aveva scritto: “Che questo foulard possa accarezzare i tuoi morbidi capelli e incorniciare i tuoi occhi belli, che risplendono come laghetti alpini, all’ombra delle sovrastanti catene dei monti”. Dedica retorica, e certamente anche un tantino stucchevole, ma non priva di una certa carica di suggestione!
Questi ricordi si affacciarono alla mente di Jeff mentre passeggiava lungo i vialetti di Battery Park. E però Jeff pensò che non era venuto a Battery Park solo per ricordare. Il problema principale era Margareth; più precisamente, la natura e la portata dei suoi sentimenti verso di lei, e come e perché ci era arrivato: doveva assolutamente capire come rimuoverli, o almeno modificarli, pena il suo equilibrio interiore. Inoltre, i suoi sentimenti verso Margareth diventavano inesorabilmente tanto più inappropriati quanto più passava il tempo. Gli anni! Jeff ricordò di averne già 70, e ne aveva pochi in meno quando aveva incontrato la prima volta Margareth. Ma Jeff si sentiva ancora giovane allora. E poi, bastava che pensasse a Margareth e tutto diventava aereo, leggero; ogni cosa acquistava un senso particolare, felicemente spensierato. Poi, pian piano, e sopratutto il desiderio di trovare uno sbocco a quella situazione di stallo, cominciò a pesargli. Era in cerca di una soluzione, doveva fare qualcosa. Ma di preciso cosa poteva fare?
“Anzitutto debbo interrompere questo flusso continuo ed incontrollato di pensieri, altrimenti esco pazzo!”, pensò Jeff, e d’ istinto, dando uno sguardo attorno, si accorse di trovarsi nei pressi della statua di John Ericsson.
“… perché l’hanno messa qui?” si chiese, e ciò valse ad interrompere almeno momentaneamente quel flusso.
Ora ricordava: Ericsson aveva rivoluzionato la tecnologia militare marittima. Infatti, era stato prima il progettista della fregata Princeton, munita di una innovativa elica a vite e di altri congegni meccanici di avanguardia. Quando, però, durante una manifestazione, un grosso cannone della Princeton esplose accidentalmente, provocando parecchi morti, sembrò che la sua carriera fosse giunta al traguardo. E però, parecchi anni dopo, John Ericsson tornava al successo con la progettazione del Monitor, una nave da guerra corazzata.
Jeff passeggiava e ricordava.
“Posso essere la sua consulente, se è d’ accordo. Guardi che io sono molto intelligente, e potrei farle fruttare il suo conto!”, aveva detto Margareth.
Seguirono per Jeff mesi di grande euforia, durante i quali andava spesso a trovare Margareth parlando di titoli finanziari e di mercati, ma anche del più e del meno. Qualche volta erano anche scesi giù assieme per un caffè, o semplicemente per una pausa, e quei momenti di estrema leggerezza Jeff spesso li ricordava con nostalgia, … anche perché ultimamente non era più così!
E però un giorno, separato da Margareth e da una sua amica solo da una vetrata, non visto, aveva potuto sentire frammenti del loro dialogo:
“Jeff mi piace!”, diceva Margareth.
“Ma è vecchio … !”, rispose l’ amica.
“Si, ma mi piace lo stesso!”
E non altro, perché Jeff, per tema di essere scoperto, si allontanò repentinamente. Ma quel breve dialogo certo non lo dimenticò più. E proprio quel dialogo segnò l’inizio di una crisi latente, una sorta di piccola guerra sentimentale, tra lui che cercava di persuaderla a incontrarsi qualche volta da qualche parte, e lei che invariabilmente rispondeva che era impossibile.
Oltretutto, Margareth era coniugata.
Inoltre, Jeff cominciava ad essere nervoso quando Margareth era impegnata con clienti importanti, con i quali doveva discutere a lungo. Così pure, a malincuore, lasciava il suo studio quando lei lo pregava di lasciarla sola perché aveva da sbrigare pratiche urgenti ed importanti.
Epilogo.
Intanto, si era fatta l’ora del pranzo. Lentamente, si avviò verso il Battery Garden, con le sue ampie vetrate e l’ottima vista su tutta la baia. Trascorse lì alcune ore dopo il pranzo, leggendo alcuni giornali e riviste acquistate lì vicino.
Guardando verso il mare, scorse in lontananza Ellis Island. Gli venne in mente la descrizione dell’isola fatta da Alessandro Baricco, nel suo libro Novecento:
“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America”.
E allora Jeff pensò a quel fiume di gente che c’era passata e che aveva rappresentato, nel bene e nel male, una potente linfa vitale non solo per la Grande Mela ma per tutti gli Stati Uniti; persone che si erano dovute separare dai loro affetti più cari per cercare fortuna nel nuovo mondo; persone che, nella dura lotta quotidiana, anche nel nuovo ambiente, avevano dovuto annullare, o collocare per ultime, le eventuali occasioni ed esigenze affettive che si erano loro presentate.
A questo pensava Jeff, mentre il disco fiammante del sole cominciava a lambire le acque dell’Upper Bay; ma poi un pensiero folgorante, nuovo, attraversò la sua mente: quella lunga giornata, il passeggiare, il continuo bypassare della sua attenzione mentale dal problema Margareth a particolari del parco e da questi di nuovo a Margareth, avevano modificato qualcosa nel suo animo.
Ed allora Jeff non volle approfondire, ma di getto fece una cosa strana. Prese il suo cellulare, premette il tasto della camera fotografica, inquadrò e mise a fuoco il suo stesso viso, e stette così per quasi un minuto, osservandosi attentamente. Si vide, e prese coscienza che non era più tempo per certe situazioni. Poi, dopo aver riposto il cellulare in tasca, si avviò verso il garage nei pressi del parco. Dopo circa dieci munti, Jeff aveva ripreso l’ auto allo State Pearl garage; dopo circa trenta minuti, era rientrato a casa.
In cucina, dopo una breve e frugale cena, si avvicinò ad un calendario appeso al muro, e prese nota di una data segnata: mancavano solo quattro giorni al rientro di Mary ed Amanda da Filadelfia, dove si erano recate per far visita ad un parente.
L’ indomani avrebbe comprato un regalino per entrambe!
Dopo circa un mese, Jeff chiamò Margareth sul suo numero di telefono in banca.
“Pronto, Margareth.”
“Pronto, Mr. Jeff”.
“Ho un titolo che mi interessa. Prima di fare movimenti, vorrei però sentire il tuo parere in merito. Quando posso venire in banca?”
“Va bene lunedì ore 10:00 della prossima settimana?”
“Si, va bene “, rispose Jeff.
“Allora, confermato per lunedì ore 10!”, replicò Margareth.
“Grazie”, disse Jeff, ” … e buona giornata!”
“Buona giornata!”, rispose Margareth, e chiuse la comunicazione.
Zeferino Siani
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